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Guarigioni nel contesto della traslazione delle reliquie di S. Stefano al tempo di S. Agostino

Angelo Di Berardino

         La vicenda di Stefano, il protomartire cristiano, ci viene narrato da Luca negli Atti degli Apostoli (6,8-8,2), che gli dedicano quasi due capitoli. L’autore accenna anche alla sua attività taumaturgica, scrivendo: “Stefano, pieno di grazia e di potenza, compiva grandi prodigi e segni in mezzo al popolo” (7,8). Viene ucciso per lapidazione, che, secondo la tradizione ebraica, doveva avvenire fuori della città , verso gli anni 31/33 . Forse in quel momento l’ufficio del prefetto romano era scoperto, per cui si verificano degli abusi. Si praticavano due tipi di lapidazione: una per punizione giudiziaria come conseguenza di un giudizio per idolatria (Deut. 13,10; 17,5), per bestemmia (Lev. 24,14), adulterio (Deut. 22,21-24), ecc.; questa lapidazione doveva avere un carattere rituale secondo delle regole precise . L’altra lapidazione invece non era frutto di una sentenza formale. Questa distinzione è importante in relazione alla sepoltura del criminale. La lapidazione aveva lo scopo di separare il criminale dalla comunità .
La narrazione della lapidazione di Stefano termina con la frase: “Ma uomini timorati seppellirono Stefano e fecero su di lui gran lamento” (Atti 8,2). Chi erano questi uomini timorati, dei cristiani? Chi fecero su di lui gran lamento, dei cristiani? Suoi seguaci? Giudei simpatizzanti? Secondo la Sanhedrin 6,6 non era lecito far lamento per un giustiziato mediante la lapidazione. Se ciò accadde nel caso di Stefano, vuol dire che egli era stato vittima di un linciaggio e non di una lapidazione rituale . A chi fosse stato lapidato legalmente era rifiutata un tomba propria (Sanhedrin 6,5). Questo metodo di interpretare avvenimenti ed episodi del NT ricorrendo alla Mishna della fine del secondo secolo (cfr. Blinzler, excursus) viene contestato dal punto di vista metodologico, perché non si conosce esattamente come i giudei si comportassero nei primi decenni del primo secolo.
         Gli Atti degli Apostoli non dicono dove Stefano fu seppellito. Dopo la narrazione dell’episodio della sua uccisione si perde memoria locale di lui. Stefano ritorna alla ribalta all’improvviso nel 415, quando viene ritrovato il suo corpo. Il racconto della sua inventio viene tramandato da un testo del presbitero Luciano di Caphargamala , villaggio sito a circa 30 Km da Gerusalemme. A Luciano, secondo il suo racconto, gli apparve il rabbi Gamaliele, lo stesso personaggio degli Atti (5,34), maestro di Paolo (22,3), nel venerdì il 3 dicembre (del 415), all’ora terza della notte, mentre dormiva nel battistero. Gamaliele gli dice che egli, che si era convertito con il figlio Abibo, aveva inviato dei suoi a raccogliere il corpo di Stefano, che era stato abbandonato per volontà dei giudei, e lo aveva fatto seppellire nella sua villa a Caphargamala (= villa di Gamaliele) in una tomba nuova con tutte le cerimonie del caso a sue spese; egli aveva fatto seppellire anche Nicodemo. Nello stesso posto erano stati seppelliti anche lui e suo figlio Abibo. Gamaliele gli apparve altri due venerdì successivi (il 10 dicembre e il 17). Il giorno seguente Luciano riferisce le apparizioni al vescovo di Gerusalemme Giovanni, che le considerò degne di fede ed invita Luciano a procedere alla ricerca. Nel frattempo anche un monaco, Migezio, ebbe una visione con le indicazioni esatte del luogo dei quattro corpi, che poi furono trovati il 20 dicembre del 415. Luciano riporta a Giovanni, che stava partecipando al sinodo di Diospolis (Lydda), il quale il 26 dicembre, giorno della festa del martire, trasferisce le reliquie trovate (poche ossa, terra mescolate con polvere della loro carne) a Gerusalemme il 26 dicembre (VII kalendas Ianuarias) nella chiesa di Santa Sion, lasciando al presbitero alcune piccole reliquie . Nel 439 (o 438) fu inaugurata una basilica , nella quale furono deposte le reliquie, nel luogo supposto della lapidazione dall’imperatrice Eudocia e da Giovenale (BHO 955), che la fece inaugurare da Cirillo di Alessandria (PG 85,469). Un’altra basilica fu fatta erigere da Melania (SC 90,255-58). Già prima Gregorio di Nissa (PG 56,701-36) , Asterio di Amasea (PG 40,337-52), Basilio di Seleucia (PG 85,461-73) avevano scritto panegirici del santo. Dal Mart. syr. la festa del 26 dicembre passò nel Mart. hier. e nel Calendarium Carthiginense.
         La narrazione del ritrovamento (BHG 1648x-1648y) dà precisi riferimenti di luoghi con diversi dettagli molto utili per i pellegrini. La ricerca archeologica discute molto sulla identificazione del luogo della sepoltura da collocarsi nell’attuale Beit-Gemal (anche Beit-Jimal) , che nel quinto secolo si trovava fuori della giurisdizione del vescovo di Gerusalemme e nell’ambito della diocesi di Eleutheropolis . Mentre gli Atti dicono che Stefano fu seppellito subito e non danno alcuna precisazione del dove e del come, la narrazione di Luciano afferma che, nella visione, il corpo die ac nocte iacuit proiectus (3,10). Qui c’è discrepanza nella narrazione sul tempo passato dalla lapidazione alla sepoltura, molto lungo per Luciano. Non è neanche il caso di discutere dell’autenticità delle reliquie di Stefano. Una famula Dei a Uzalis ne aveva dubitato, ma subito viene smentita da un miracolo: Et quis scit si vere martyrum sunt reliquiae? (De miraculis S. Steph. I,1: PL 41,833). Quello che interessa è che allora, da tutti, furono credute come autentiche, specialmente in base alle affermazioni orali e scritte del presbitero Luciano. La notizia si diffonde rapidamente e arriva anche in Occidente (Agost., Tract. in Io. 120,4).
         Luciano aveva scritto la sua narrazione per esortazione del suo amico Avito di Braga, che viveva in Palestina (Gennadio, Vir. ill. 47), e che la tradusse in latino e la fece diffondere in Occidente (BHL 7850-7856: PL 41,807-818). Il tramite fu Orosio, compatriota di Avito, che si era recato in pellegrinaggio e stava lasciando la Palestina dopo il fallimento del concilio di Diospolis contro Pelagio. Allora Avito incarica Orosio di portare al suo vescovo Balconio e alla comunità di Braga delle reliquie del protomartire, che era riuscito ad avere in secreto “pulverem carnis atque nervorum” e frammenti di ossa. La segretezza e la fretta implicano la complicità di Avito con il presbitero Luciano all’insaputa del vescovo Giovanni. Le altre persone, come Melania ed Eudocia, da chi e come hanno ottenuto le reliquie di Stefano e quali? Comunque l’autenticità invece è garantita, per Avito, con l’aggiunta della traduzione del libellus di Luciano (ut autem nulla possit esse dubitatio). Il tutto era accompagnato dalla lettera di Luciano, che aveva scritto per sua richiesta in greco e lui l’aveva tradotta in latino (Ep. di Avito). Avito affida reliquie, lettere varie (per Agostino; la lettera dei vescovi Heros e Lazzaro) e messaggi ad Orosio in procinto di partenza per raggiungere presto la Galizia. Non sappiamo però il momento esatto della partenza, neppure il tragitto e il tempo di percorrenza. Se nel giugno del 416, secondo una lettera di Agostino , è in Africa, il viaggio per mare poteva avvenire solo a partire dalla primavera; il suo ritorno poteva essere anche via terra, passando per l’Egitto. Non sembra probabile che sia passato prima per Roma o l’Italia. Uno dei diffusori di queste reliquie fu Orosio stesso al suo ritorno in Occidente, portatore anche di lettere e di messaggi; forse altri hanno portato le reliquie di Stefano ad Ancona, dove anche si operavano miracoli (Agostino, Sermo 322,2). Già alla fine del quarto secolo la ripartizione e la diffusione di reliquie di martiri non disgiunta da un’attività commerciale avevano assunto qualcosa di scandaloso, perché le autorità imperiali le proibiscono già nel 386 con una legge pubblicato a Costantinopoli (CTh 9,17,7). Nei primi decenni del quinto secolo cambia la sensibilità religiosa e la diffusione delle reliquie diventa una prassi accettata, ma che richiedeva vigilanza per gli abusi. Infatti il concilio di Cartagine del 401 raccomanda di distruggere le falsae memoriae martyrum, perché dappertutto per i campi e strade vengono istituite delle memoriae (monumento martiriale più o meno grande ) senza elementi del corpo dei martiri (ed. Munier, CCL 148, p. 204s). I vescovi però si rendono conto che non sarà facile per l’opposizione popolare (si autem per tumultus populares non sinitur), allora si dovrà ammonire il popolo di non frequentarle e non cedere alla superstizione. Gli altaria costruiti in ragione di sogni e di rivelazioni varie sono da rifiutarsi. Nello stesso anno del concilio anche Agostino critica i monaci vagantes che vendono membra di cosiddetti martiri (De op. monach. 28,36). Egli deplora e combatte gli abusi compiuti in relazione alle celebrazioni dei martiri già a partire dal 392 : “Le gozzoviglie e le ubriachezze infatti si considerano permesse e lecite al punto che si celebrano persino in onore dei beatissimi martiri, non solo nei giorni solenni (e chi mai non vede che ciò è deplorevole, purché non osservi siffatte cose solo con gli occhi della carne?) ma anche quotidianamente” (Ep. 22,3; cfr. Ep. 29); “I martiri hanno aborrito le vostre anfore, i vostri vasi per i sacrifici; i martiri hanno aborrito i vostri eccessi. Con questo non intendo offendere quelli di voi che tali cose non fanno; lo riferiscano a se stessi coloro che si comportano così. I martiri hanno detestato un simile comportamento e non hanno affetto per quanti fanno di tali cose. Ma se poi si giungesse all'adorazione nei loro confronti, ne resterebbero molto più sdegnati” (Serm. 278,8) . L’azione pastorale di Agostino e dei vescovi africani riduce enormemente questi abusi (cfr. De civ. Dei 8,27).
         Orosio, partito dalla Palestina, portando le reliquie con sé, si recò in Africa, prima a Cartagine e poi da Agostino a Ippona. Successivamente a Minorca, nelle Baleari. Quando è a Ippona, ne parla ad Agostino delle reliquie? Non sappiamo. Non è da escludere che le conservasse in segreto per qualche tempo, per portarle in Spagna. Quando Orosio comincia la distribuzione delle reliquie in Africa? Agostino non parla di esse prima del 425. Perché? Non era interessato? Non si trovavano ancora a Ippona? Non sapeva nel 416 che Orosio, tra le altre cose, portava reliquie del protomartire? Neanche sappiamo quando la lettera enciclica di Severo (BHL 7859; datata al 3 febbraio del 418) sia arrivata in Africa. Essa fu letta pubblicamente in chiesa in occasione della deposizione delle reliquie in chiesa (De miraculis I,2: cum ingenti favore recitata est), che non menziona l’intenzione dell’autore di distribuire reliquie. Come pertanto sono arrivate le reliquie a Uzalis? Una opinione, sembra la più probabile, è che Orosio, arrivato a Minorca, non potendo tornare in Spagna, abbia lasciato nell’isola delle reliquie; altre le ha portate con sé nel suo ritorno in Africa, consegnandole ad Evodio e forse ad altri vescovi. Il De miraculis (I,1) riferisce che una famula Dei aveva sognato l’arrivo a Uzalis delle reliquie per opera di un presbitero di ritorno dall’Oriente (qui nuper ex Oriente rediens, allusione evidente ad Orosio); un’altra sacra virgo aveva sognato la prossima venuta e l’accoglienza delle reliquie con grande partecipazione popolare (o.c., I,2: innumeros populos gaudentes). Le reliquie arrivarono infatti circa quaranta giorni dopo tale sogno. Pertanto a Uzalis le reliquie arrivano dopo il febbraio del 418. Queste si diffondono per mano di Orosio? Sia la lettera di Severo che il De miraculis fanno riferimento ad Orosio, senza farne il nome. Perché? Chi diffonde le reliquie in Africa? Evodio? Forse sorgevano dei dubbi che non sono vere reliquie venute da Gerusalemme? I due sogni menzionati servono a confermare la verità della loro provenienza. Il solo tentativo di Evodio di portare qualche reliquia, che era stata conservata in un primo momento in un monastero (De miraculis I,8), in un’altra chiesa di Uzalis (Promontoriensis ecclesia) non viene approvato dal martire , anzi il vescovo è costretto a fare marcia indietro. Come è stata possibile la ripartizione di reliquie? Come è stato possibile allora che esse fossero in tante località africane?
         La loro distribuzione favorisce la diffusione del culto di Stefano, sia in Oriente che in Occidente. Melania fa edificare un monastero a Gerusalemme, nel cui oratorio pone le reliquie del protomartire Stefano (Geronzio, Vita di Melania, cap. 48: SC 90, p. 218). Le reliquie si trovano anche nel monastero degli uomini, dove lei si reca per pregare prima di morire (o.c., 64, pp.256-258). Eudocia, moglie dell’imperatore Teodosio II, riporta a Costantinopoli reliquie del protomartire, che colloca nella chiesa di San Lorenzo (Marcellino Comes, Chronicon, MGH AA, 11, an. 439, p. 80). In Occidente le reliquie si diffondono in molte regioni con una velocità impressionante: a Roma (chiesa di S. Stefano Rotondo risale al 450 ca.), ad Ancona , in diversi posti dell’Africa (Uzalis, Cartagine, Ippona, Acque Tibilitane, Siniti, Calama, a Bulla Regia, a Thaborra , a Telergma , a Sitifis anche nelle campagne come nel fundus Audurus) , nelle Baleari, in Gallia (Bourges). Ovunque si ha grande partecipazione popolare, e i vescovi non sono da meno nel favorire il culto del protomartire. Le guarigioni e i miracoli più conosciuti sono quelli avvenuti a Uzalis, perché parzialmente tramandati nel De miraculis S. Stephani, a Ippona e in alcune località della Numidia menzionati nella predicazione di Agostino e nelle notizie riportate nel De civitate Dei (22,8). Molto materiale letterario, i cosiddetti libelli miraculorum, sono andati perduti.
         La diffusione delle reliquie di Stefano in Africa del Nord con l’implementazione del loro culto è impressionate. I due primi luoghi conosciuti sono Uzalis , dove era vescovo Evodio , compatriota e grande amico di Agostino, e Calama , dove era vescovo Possidio. Come questi due vescovi in posti così distanti abbiano ottenuto le reliquie non è data sapere. Non è facile precisare quando queste siano arrivate ad Uzalis, non prima del febbraio del 418, quando fu redatta la lettera di Severo di Minorca. Il culto di Stefano a Uzalis già era stato istituito dal vescovo Evodio da diversi anni, quando Agostino scrive il libro 22° del De civitate Dei. Questo libro viene collocato nel 426. Agostino afferma ibi memoria longe prius quam apud nos ab episcopo Evodio constituta (De civ. Dei 22,8,22). Pertanto Evodio ha dovuto ricevere le reliquie da parte di Orosio intorno al 418 se già erano avvenuti multa praeclara prima del 426 (o.c.). La redazione del De miraculis Sancti Stephani, raccolta delle guarigioni, in due piccoli libri, avvenute per opera delle reliquie di s. Stefano, è da collocarsi verso il 425 o non molto tempo dopo, poiché Agostino, che di ritorno da Cartagine era stato da poco a Uzalis , scrive che qui non v’era l’uso di consegnare per iscritto gli avvenimenti miracolosi, ma egli aveva esortato la nobildonna Petronia a compilare una relazione da leggere al popolo; ma forse nel frattempo, afferma, era iniziata l’abitudine di redigere una relazione scritta (De civ. Dei 22,8,22). Il libellus di Petronia, conosciuto da Evodio, è andato perduto, ma il contenuto è conservato da Agostino. L’anonimo redattore del De miraculis scrive che era stato indotto dall’esortazione di Evodio a comporlo, ed Evodio, a sua volta, molto probabilmente dall’esempio e dalla parola di Agostino. Perché il redattore non include anche la guarigione dei Petronia, avvenuta ad Uzalis? Non la conosceva? Oppure perché già era conosciuta, non crede opportuno includerla nella sua collezione? La raccolta spesso è annessa, nei manoscritti, alle opere di Agostino. Non tutti i miracoli conosciuti dall’autore vengono recensiti, perché il libellus doveva essere letto in chiesa durante la festività del martire in un tempo accettabile dagli uditori, specialmente da quelli che venivano da lontano e forse la sera stessa dovevano ripartire e tornare alle loro case.
         Uzalis, il santuario maggiormente conosciuto da noi, attirava pellegrini anche da lontano e i suoi abitanti erano orgogliosi del loro protettore. Persone che ottengono la guarigione provengono da varie parti della Proconsolare: da Membositanus locus (De miraculis I,5); da Utica (o.c. I,12); da Hippo Diarrhytus (o.c. I,11); da Pisitana civitas (o.c.I,13); dalla lontana Caratgine Vitula e sua figlia Megetia (o.c. II,2), Florentius (o.c. II,5), che preferirono recarsi a Uzalis, pur stando delle reliquie a Cartagine in un monastero femminile (monasterio puellarum), dove verso il 434 si era prodotto un miracolo alla presenza del vescovo (Quodvuldeus, De prom., Dim. Temp. 9: SC 102, p. 606). Per chi veniva da molto lontano e si tratteneva per alcuni giorni dovevano esserci anche alcune strutture per l’alloggio. Talvolta i malati restavano in chiesa, anche durante la notte, dediti alla preghiera e alla supplica. Il De miraculis Sancti Stephani narra avvenimenti di un arco di tempo che copre diversi anni. Per esempio il caso della cartaginese Vitula e di sua figlia Megetia, che si erano recate a Uzalis, suppone un congruo periodo di tempo. Comunque esso presenta una teologia del miracolo diversa da quella di Agostino. Manifesta la mentalità e le sensibilità del clero di una piccola comunità cristiana dell’Africa del nord. I diversi miracoli riguardano la vita quotidiana: guarigioni da malattie varie; liberazione dal carcere; vino che ridiventa buono; processo favorevole nel tribunale. Inoltre ci offre informazioni sulla lingua e la vita dei piccoli centri e sulla vita degli aristocratici cartaginesi agli inizi del quinto secolo. Il De miraculis ci fornisce uno spaccato della devozione popolare, dell’entusiasmo e della partecipazione agli avvenimenti. Ormai il popolo considera Stefano come un loro concittadino (Uzalensis sum: 1,14, PL 41,841) e il loro protettore (patronum nostrum Stephanum primum martyrem: Prol., PL 41,833).
         I vescovi favorivano la diffusione delle reliquie e del culto di Santo Stefano, che diventa molto popolare nell’Africa del Nord. La documentazione letteraria attesta il suo culto in diversi luoghi, dei quali non esistono però sicure testimonianze epigrafiche o monumentali; mentre queste esistono per altre località in tutta la diocesi africana. Osserva la Y. Duval che non si possa asserire che lo Stephanus (o Stefanus) delle iscrizioni sia sempre il protomartire, perché in taluni casi può essere uno sconosciuto martire locale oppure papa Stefano morto nel 257 e festeggiato il due agosto. Però l’immensa popolarità del protomartire per i miracoli narrati, la diffusione delle reliquie e l’influsso orientale spingono a preferirlo agli altri Stefani Le testimonianze letterarie e quelle archeologiche mostrano che il culto di Stefano si diffuse ampiamente nel Nord Africa, ma specialmente nella Proconsolare e nella regione di Ippona e di Calama (Guelma). L’ultima deposizione documentata avvenne a Telergma, nella Numidia, a sud di Costantina, e risale all’anno 636.
         Agostino è molto coinvolto sia nella diffusione del culto, sia nel dare ad esso una valenza cristologica e sia per correggere le comuni superstizioni a cui ricorrevano anche i fedeli in casi di malattie e sventure varie. La religiosità popolare ne riceve un incremento e ne viene purificata da forme stravaganti. La predicazione agostiniana su Stefano è abbondante; almeno 11 discorsi (altri tre sono brevissimi, e la lettera 212) riguardano direttamente il martire . Molti di essi sono stati pronunciati in occasione della festa nel 26 dicembre (314-317). Tale giorno si prestava anche ad un paragone della nascita di Cristo e il dies natalis di Stefano (sermo 314,1): “Ieri abbiamo celebrato il Natale del Signore; oggi celebriamo il Natale del suo Servo: ma, quale Natale del Signore, abbiamo celebrato il giorno in cui si degnò nascere; quale Natale del Servo, celebriamo il giorno nel quale ricevette la corona. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, in cui egli ricevette la veste della nostra carne; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi lasciò la sua veste di carne. Abbiamo celebrato il Natale del Signore, nel quale egli si fece simile a noi; celebriamo il Natale del Servo, nel quale questi passò accanto a Cristo”. La preoccupazione di Agostino è quella di esortare alla imitazione di Stefano, che a sua volta è imitatore di Cristo. Un paragone tra Stefano e Cristo nella nascita, ma in particolare nella passione (sermo 315); “Egli infatti è il Signore, costui è il servo: ma Stefano, da servo, è amico. Quanto a noi, siamo indubbiamente dei servi: egli ci conceda di essere anche amici” (sermo 316,1). Secondo una tabella di Saxer i discorsi sono stati pronunciati tra il 425 e il 430, gli anni cruciali del suo interessamento al culto del protomartire. A Ippona due erano le occasioni per predicare su Stefano: il dies natalis del 26 dicembre (Serm. 314,1; 317,4,5) e l’anniversario della deposizione delle reliquie nella cappella a lui destinata nel mese di luglio, quando faceva caldo (cfr. Sermo 319,8).
         Nel 424/25 Agostino permise al diacono Eraclio di costruire a sue spese una memoria destinata a custodire le reliquie di s. Stefano da poco avute non dice da chi (Sermo 356,7): forse da Evodio oppure da Possidio, il suo biografo. Un terza possibilità è che le reliquie siano state portate a Ippona da Galla e Simpliciola, che viaggiavano “portando con sé le reliquie del beatissimo e gloriosissimo martire Stefano” (Agostino, Ep. 121,1). Questa coppia sicuramente ha contribuito alla diffusione delle reliquie del protomartire. Dentro la cappella Agostino fece incidere quattro versi per inculcare al popolo il significato del culto dei martiri. Insiste che tutti leggano e ritengano il loro insegnamento. Nella cappella vi era anche una pittura per illustrare il momento dell’uccisione di Stefano: “Ha grande forza di attrattiva questo dipinto, dove riscontrate santo Stefano che viene lapidato e Saulo che custodisce le vesti dei lapidatori” (Sermo 316,5). Le costruzioni di Eraclio risplendono (lucent) davanti alla popolazione ipponate. Anche ad Ippona, in connessione con le reliquie, avvenivano numerosi miracoli (De civ. Dei 22,8,). Agostino pronuncia il discorso 318 nel 425 in occasione della deposizione delle reliquie del protomartire nella memoria, vicina alla Basilica Maior. Tale discorso è importante per poter capire perché egli favorisse il culto di Stefano: “Può capitare che un fedele si ammali; ecco là presente il tentatore. In vista della guarigione gli si promette un sacrificio illecito, un amuleto riprovevole e sacrilego, un nefando incantesimo, un rito magico, dicendo: Quella persona e quell'altra si sono trovate in più grave pericolo di te e in questo modo ne vennero liberate; regolati così se vuoi vivere; morirai se non l'avrai fatto. Nota se non è lo stesso che ‘morirai se non avrai rinnegato Cristo’ [...] Hai trovato identità di lotta, guadagna un'autentica vittoria. Sei in un letto e sei in un anfiteatro; ti trovi a giacere e sei impegnato a lottare. Persevera nella fede; e, mentre ti affatichi, sei vittorioso. Perciò, carissimi, avete non piccolo conforto: un luogo di preghiera. Qui sia venerato il martire Stefano, ma, ad onore di lui, si adori colui che ha coronato Stefano” (Sermo 318,1-3). Il culto del martire aveva una funzione specifica; quella di essere un tramite con Dio, fine ultimo di ogni culto, nelle varie avversità della vita. Il sacello un luogo di preghiera e di conforto. L’accresciuta importanza che egli conferisce ai miracoli in generale, e a quelli compiuti per intercessione del protomartire Stefano, ha lo scopo di rinsaldare la fede dei cristiani ed anche spingere alla imitazione del santo. Nei sermoni su Stefano mette in risalto il rapporto tra Cristo e Stefano e i fedeli cristiani devono imitare il servus, perché tutti sono conservi di Cristo. E’ un scopo pratico, ma non produce una riflessione teorica.
         La diffusione di queste reliquie provoca in Occidente un cambiamento di religiosità; lo stesso Agostino, in un primo momento indifferente al culto delle reliquie, diventa molto interessato ad esse; si preoccupa di raccogliere le testimonianze e ne favorisce il culto. Nel De vera religione scrive che i miracoli erano in qualche modo necessari nei primi tempi della chiesa; ma quando questa si è diffusa stabilmente dappertutto, essi non erano più indispensabili, “perché l'anima non andasse sempre alla ricerca delle cose visibili e il genere umano, con l'abitudine di vedere miracoli, non si intiepidisse per ciò che, visto la prima volta, si era infiammato” (25,47). Il De utilitate credendi, scritto negli anni 391-392 precisa questa sua posizione: il sapiente segue la ragione; gli altri invece si fondano sull’autorità “che essa riesce a far ciò in parte con i miracoli e in parte con la moltitudine” (16,34). L’importanza dei miracoli è relativa, poiché “ (la fede) tanto più forte è infatti quanto più evita ormai d'andare in cerca di miracoli” (De pecc. meritis II,32,52; tutto il sermone 88 affronta la questione dei miracoli). Questa sua posizione dopo il 420 si attenua. Egli stesso nelle Retractationes osserva che è certamente vero quanto aveva scritto che i miracoli non si verificano con la stessa frequenza e modalità delle origini, pur tuttavia “quanto ho detto non va certo inteso nel senso di escludere che oggi si verifichino dei miracoli in nome di Cristo …e sapevo di altri fatti del genere di quelli che anche oggi si verificano in così gran numero che non possiamo né conoscerli tutti né contare quelli che conosciamo” (I,13,7). Per vedere il cambiamento di opinione di Agostino sui miracoli del suo tempo si potrebbe seguire quanto ha scritto a proposito della inventio dei corpi di Gervasio e Protasio a Milano. Egli ricorda l’episodio, che ha marcato profondamente la sua memoria, diverse volte: una prima volta nelle Confessioni (IX;7,16) con alcuni miracoli operati nell’occasione (fa capire che in fondo solo i credenti glorificavano Dio, non la Augusta e neanche per Agostino fu una spinta per la conversione) fino agli ultimi anni della sua vita. L’arrivo e la diffusione in Africa delle reliquie di Stefano hanno fatto cambiare ad Agostino il suo apprezzamento dei miracoli e il loro uso per la crescita religiosa del popolo; questo cambiamento si rispecchia nel De cura pro mortuis del 422/423.
         Che tipo di reliquie distribuiva Orosio? Non sappiamo molto dai testi; anzi questi tendono a confonderci. Avito aveva consegnato a lui, per portarle al vescovo Balconio, solo “polvere della sua carne e dei suoi nervi, ma anche ossa solide” (Ep. di Avito). Nella sua breve permanenza a Minorca Orosio aveva deposto reliquie di Stefano in una chiesa collocata fuori di Mahón (Magona; [(ecclesia) quae paululum a civitate sequestri in loco sita est]) appena dopo la ordinazione del suo vescovo Severo. Ed era ripartito per l’Africa invece di recarsi in Spagna, la sua destinazione finale (Severo, Ep. enc. 4,1-2). Severo non nomina Orosio esplicitamente, ma dà le coordinate per identificarlo. Inoltre non dice che tipo di reliquie abbia lasciate e se le abbia lasciate tutte. Tuttavia tiene a sottolineare che l’arrivo delle reliquie di Stefano ha provocato la conversione dei giudei dell’Isola. A Uzalis esisteva un’ampolla del sangue del protomartire (De miraculis I,1,2 e 2,3: PL 41,833-854). Che reliquia voleva il vescovo Evodio collocare in un’altra chiesa (una parte del sangue?), ma non gli fu possibile per “l’opposizione” del martire. A Uzalis esisteva una chiesa con la memoria protetta da una inferriata, attraverso la quale si potevano introdurre le braccia (De miraculis I,12: PL 41,839s); al loro arrivo erano state collocate sull’altare ricoperto (o.c. I,3: PL 41, 835). La cappella di Ippona costruita dal diacono Eraclio conteneva della “polvere” o “cenere” (Sermo 317,1 ). Per il desiderio di avere qualcosa di particolare connesso con il santo, si dava importanza anche ad elementi molto marginali rispetto alle vere e proprie reliquie. Il concetto di reliquia si amplia, non indicando solo una particella pur minima del corpo, ma ogni cosa connessa, con o senza contatto, con esso. Nell’episodio di Uzalis (De miraculis I,7: PL 41,838) è evidente che la popolazione era contraria a privarsi anche di una parte delle reliquie, che erano state messe in una capsella di argento; il vescovo Evodio deve cedere e rimettere tutto al suo posto. Allora sorge spontanea la domanda: come si è avuta la diffusione delle reliquie? Quali reliquie si sono diffuse? Non abbiamo concrete risposte.
         Il luogo dove si trovano le reliquie del martire è una statio medicinae (De miraculis I,4: PL 41,836; I,13: PL 41,840); e Stefano è medicus spiritualis (o.c. II,2,6). Ci si recava alla sua memoria per implorarlo; a volte era la stessa persona malata che si portava nel luogo di venerazione; talvolta altra persona. Diversi miracoli avvengono solo mediante la fervida preghiera: dei detenuti, che pentiti, ricorrono al protomartire vengono sciolti dalle loro catene e liberati (De miraculis I,9 e 10). I miracoli avvenivano in diversi modi e con mezzi diversi: la semplice ma intensa supplica; il toccare le reliquie con la mano e poi toccare la parte inferma; l’uso dei fiori che avevano forse toccato il contenitore di reliquie (De civ. Dei 22,8,11), una tunica che era stata nel luogo della reliquia del martire (De civ. Dei 22,8,13; 22,8,17 e 18), fiori che erano state sull’altare dove era custodita la reliquia (De civ. Dei 22,8,14), l’olio della cappella del martire (De civ. Dei 22,8,19). Le modalità dovevano essere molte, perché Agostino ricorda che solo a Ippona sono state “consegnate le redazioni per essere lette nelle adunanze” di una settantina di casi in meno di due anni e ancora di più a Calama, la sede episcopale di Possidio (De civ. Dei 22,8,21; cfr. 22,8,22). Le apparizioni notturne o i sogni svolgono un ruolo rilevante nelle guarigioni. Stefano, talvolta viene visto come un giovane con vesti bianche come diacono (De miraculis I,6: PL 41,837).
         Agostino si interessava di conoscere personalmente le persone guarite; quando veniva a sapere che qualcuno fosse stato miracolato, lo incontrava per ascoltare il racconto dell’avvenimento; richiedeva che si mettessero per iscritto la tipologia delle malattie e le modalità della guarigione. Voleva che questa non restasse assolutamente segreta. Così descrive e motiva il suo comportamento: “Avendo io udito questo (guarigione di Innocenza) e avendo appreso con risentimento che era rimasto celato un così grande miracolo, avvenuto in quella grande città e su di una persona tutt'altro che sconosciuta, decisi di ammonirla in merito e quasi di rimproverarla... E poiché le proposi un breve questionario, feci in modo che narrasse tutto per ordine, come era avvenuto, alle altre che ascoltarono, ammirarono molto e diedero gloria a Dio” (De civ. Dei 22,8,4; cfr. o.c. 22,8,5; 22.8,6; 22,8,22; sermo 322). Anche l’autore del De miraculis si ispira allo stesso principio:le opere di Dio non vanno nascoste ma manifestate per poterlo lodare (Prol.: PL 41,833).
         La strategia di leggere pubblicamente i libelli miraculorum favorita da Agostino e diffusa nelle altre chiese africane, creava un clima di attesa e di entusiasmo; talvolta essi venivano letti alla presenza dei miracolati, che tutti potevano vedere, toccare, ascoltare: “Siamo soliti ascoltare le relazioni sui miracoli operati da Dio per le preghiere del beatissimo martire Stefano. La relazione che riguarda quest'uomo è la sua presenza qui; in luogo di uno scritto, il fatto noto; in luogo di un foglio di carta, è l'aspetto a rendere palese il miracolo. Voi che sapete che cosa in lui eravate soliti guardare con rammarico, rallegrandovi della sua presenza, leggete quel che vedete: al fine di onorare con maggior fervore il Signore Dio nostro e perché si stampi nella vostra memoria ciò che è riportato a relazione” (Sermo 220). I casi umani narrati attiravano maggiormente l’attenzione del pubblico, che ascoltava con attenzione e partecipazione; applaudiva per l’esito positivo e per l’intervento del protomartire. Venivano proclamati non solo nella festa del protomartire, ma anche durante altre celebrazioni. Infatti Agostino, in un’occasione non prolunga il discorso per il troppo caldo, “poiché è stata lunga la lettura proclamata e intenso il caldo, la relazione, dei benefici di Dio, per intercessione di lui, che oggi avevamo intenzione di leggere, la rimandiamo a domenica” (319.8). Brevemente accenno alla sapiente regia della lettura del libellus redatto da Paolo di Cappadocia nella chiesa di Ippona, il martedì dopo Pasqua; essa dovette creare un clima di grande tensione, che Agostino racconta nella Città di Dio, ma dai sermoni 320-324 ricaviamo preziose informazioni. Scrive: “feci stare in piedi i due fratelli, mentre si leggeva la loro redazione, sui gradini del coro, da cui in una posizione più alta io parlavo. Tutto il popolo dell'uno e dell'altro sesso osservava l'uno che rimaneva in piedi senza movimento anormale, l'altra che aveva convulsioni in tutto il corpo. E coloro che non conoscevano il fratello scorgevano nella sorella quel che per la bontà di Dio era avvenuto in lui. Vedevano di che rallegrarsi per lui, che cosa chiedere nella preghiera per lei. Letta frattanto la loro redazione, ordinai che i due si allontanassero dalla vista del popolo e cominciavo a esporre un po' più diligentemente il caso, quando all'improvviso, mentre parlavo, dalla cappella del martire si odono altre voci di un altro rendimento di grazie. I miei uditori si voltarono da quella parte e cominciarono ad accorrere. La giovane infatti, appena scesa dai gradini, sui quali stava in piedi, si era diretta verso il santo martire per pregare. Appena toccò l'inferriata, dopo essere caduta in coma come il fratello, si levò in piedi guarita. Mentre chiedevamo che cosa era avvenuto, per cui si era levato quel festoso schiamazzo, i presenti entrarono con lei nella basilica per accompagnarla guarita dalla cappella del martire. Si levò allora dall'uno e dall'altro sesso un grido di ammirazione così potente da sembrare che la voce, unita al pianto senza interruzione, non potesse aver termine. Fu condotta in quel posto in cui poco prima era stata in piedi tremante. Esultavano che era simile al fratello, poiché erano rimasti afflitti che era rimasta dissimile, e facevano notare che non erano state innalzate preghiere per lei, eppure la volontà che le precorreva fu così presto esaudita. Esultavano nella lode di Dio senza parole, ma con un frastuono così grande che le nostre orecchie potevano appena sopportare. E che cosa v'era nel cuore di coloro che esultavano se non la fede di Cristo, per la quale era stato versato il sangue di Stefano?” (De civ. Dei 22,8,23). Il primo miracolo era avvenuto il giorno di Pasqua e quindi ben conosciuto. Paolo, a pranzo, espone ad Agostino le vicende personali, e poi le mette in iscritto; il martedì la relazione viene letta in chiesa (Sermo 222). Paolo narra le sue vicende: una madre addolorata maledice i suoi dieci figli, che tutti cadono malati; lei, per la vergogna si uccide. Questi avvenimenti si collocano a Cesarea di Cappadocia. Il primo dei dieci guarisce a Ravenna presso una memoria di s. Lorenzo. Paolo, (322,2), il sesto fratello con sua sorella, scrive: “dopo aver appreso notizia dell'esistenza di luoghi sacri, nei quali Dio operasse miracoli presso qualsiasi popolo, in qualsiasi regione, mi mettevo in cammino con viva brama di tornare in salute. Ma, per tacere degli altri celebratissimi luoghi di santi, nel mio pellegrinare raggiunsi pure Ancona, città dell'Italia, dove il Signore opera molti miracoli per l'intercessione del gloriosissimo martire Stefano… Neppure trascurai Uzalis, città dell'Africa, dove si rende noto che il beato martire Stefano vi opera di frequente grandi miracoli. Nondimeno, tre mesi fa, cioè il primo giorno di gennaio, sia io che mia sorella, che è qui con me ed è presa dallo stesso male, fummo avvertiti da una manifesta visione…Pregavo ogni giorno con lacrime copiose nel luogo dove è la "Memoria" del gloriosissimo martire Stefano. Ma, nella domenica di Pasqua, come hanno visto alcuni che erano presenti, mentre pregando in gran pianto mi tenevo ai cancelli, sono caduto improvvisamente”. Alla lettura segue il discorso 223, dove fa riferimento ad un miracolo che conferma la sua teologia del peccato originale e della necessità del battesimo dei bambini: un bambino catecumeno morto, che, per pressante preghiera della madre alla memoria di Stefano a Uzalis, ritorna in vita, viene battezzato e confermato, poi muore definitivamente. L’episodio forse gli era stato raccontato da Evodio e viene riportato anche nel De miraculis. Mentre lui parlava la sorella di Paolo, Palladia, per la quale Agostino aveva chiesto alla comunità di pregare, venne guarita, (223,3,4; 224; De civ. Dei 22,8,23).
         Le guarigioni di Paolo e Palladio avevano colpito Agostino, alle quali dà importanza sia nella predicazione che nella Città di Dio. Egli riferisce numerose altre guarigioni, sia avvenute ad Ippona che in altri luoghi, in relazione al protomartire Stefano. L’arrivo delle reliquie di Stefano cambia profondamente la situazione in Africa, dove prima i corpi dei martiri sia africani che di altre regioni non avevano prodotto miracoli vistosi. C’era una enorme venerazione per essi, che venivano onorati dappertutto, ma non avvenivano eventi straordinari; non si operavano miracoli come già avveniva altrove. Agostino stesso invia due componenti del suo clero a Nola in Campania alla tomba di san Felice per risolvere un caso complicato, che non riesce a venirne a capo, perché “certi prodigi avvengono in certi luoghi e non in altri” (Ep. 78,3). Nel suo monastero di Ippona un certo Speranza, impaziente per il ritardo della sua ordinazione presbiterale, accusa il prete Bonifacio. Agostino, non riuscendo a dirimere il litigio e a discernere il colpevole, li invia a Nola, perché “è ben nota la santità del luogo ove è sepolto il corpo del beato Felice da Nola” (Ep. 78,3). In Africa ancora non c’era l’epidemia dei miracoli scatenata dalle reliquie di Stefano, come osserva nella stessa lettera: “Forse che l'Africa - direte voi - non è anch'essa piena di corpi di santi martiri? Certo: eppure sappiamo che in nessun altro luogo sono accaduti miracoli così strepitosi. Infatti, a quanto dice l'Apostolo: Non tutti i Santi hanno il dono delle guarigioni, né tutti hanno il dono di discernere gli spiriti (1Cor. 12,30), così pure il Signore che distribuisce i suoi doni come vuole (1Cor. 12,11), ha disposto pure che non in tutti i sepolcri di martiri avvengano tali prodigi” (78,3).
         Ora con l’implementazione del culto di santo Stefano, nello spazio di meno di due anni dalla costruzione della cappella una settantina di guarigioni corporali sono state registrate nella sola Ippona, pur essendo Agostino assolutamente certo che “non siano state molte le redazioni dei fatti avvenuti per prodigio” (De civ. Dei 22,8,) per essere lette in pubblico. Egli nomina esplicitamente solo alcuni casi. Mentre “a Calama, in cui si è avuta la prima cappella e avvengono più spesso, superano di molto il numero” (o.c.). Inoltre Agostino nella Città di Dio menziona anche altri miracoli avvenute per intercessione del protomartire in altre località della Numidia: nelle Acque Tibilitane, a Siniti, nei poderi di Auduro, di Caspaliana. Invece sono rari i casi conosciuti di prodigi per opera di altri martiri, per esempio a Ippona di Fiorenzo, che prega “nella cappella dei Venti Martiri, la cui devozione è molto diffusa nel nostro popolo” (o.c. 22,8,10) o per intervanto dei martiri milanesi Gervasio e Protasio (o.c. 22,8,8). Alcune persone restavano mesi per essere curate nei luoghi in cui si conservavano le reliquie del protomartire. A Uzalis un fabbro paralitico, venuto da altra località, dopo quattro mesi che dormiva sul pavimento nella memoria di Stefano la guarigione era solo iniziata; una visione gli dice di attendere altri quattro mesi, quando guarisce e può tornare a piede casa sua. A Ippona, per richiesta di Agostino, il presbitero Leporio, con le sue risorse e con aiuti economici di persone generose, costruisce un ospizio per i pellegrini (Serm. 356,8). La fama della memoria di Stefano per i numerosi prodigi doveva attirare persone anche da lontano, che talvolta restavano a lungo in attesa dell’esaudimento delle loro preghiere. Paolo e Palladia avevano atteso solo una quindicina di giorni (Sermo 322) prima della loro guarigione. Avevano viaggiato per anni alla ricerca “di luoghi sacri, nei quali Dio operasse miracoli presso qualsiasi popolo, in qualsiasi regione, mi mettevo in cammino con viva brama di tornare in salute. Ma, per tacere degli altri celebratissimi luoghi di santi, nel mio pellegrinare raggiunsi pure Ancona, città dell'Italia” (Sermo 322,2). Erano stati anche a Uzalis, la cui fama era giunta anche in Italia, e forse nella cittadina africana hanno saputo che anche ad Ippona ci fosse un luogo miracoloso. Fare un altro tentativo non nuoce, andavano di tentativo in tentativo, vivendo di speranza in speranza. Secondo le affermazioni di Paolo dei sogni lo hanno guidato alla ricerca del luogo giusto, identificato ella persona di Agostino: “Attraverso altre città, lungo il percorso che qui ci conduceva, anch'io vedevo infatti assai spesso in seguito la Beatitudine tua, assolutamente tale quale ora io ravviso. Avvertiti perciò da un palese volere divino, siamo giunti in questa città da circa quindici giorni” (Sermo 322,2).


G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli, Brescia 1986, vol I., p. 662 nota 41.

S. Dockx, Date de la mort d’Étienne le Promartyr: Biblica 55(1974)63-73

Schneider. o.c. p.663; E. Haenchen, The Acts of the Apostles, Oxford 1971, p. 292. Come avveniva una lapidazione legale: R. Hirzel, Die Strafe der Steinigung, Leipzig 1909, rist. Darmastad 1967; H. L. Strack und P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament : aus Talmud und Midrasch , München 1924, 2,685ss..

B. Bagatti, Nuove testimonianze sul luogo della lapidazione di S. Stefano: Antonianum 49 (1974) 527-532.

  E. Haenchen, The Acts of Apostles, Oxford 1971, pp. 293s.

Schneider, o.c., p. 666

Sul culto di Stefano si veda R. Bauerrreis, Stefankult und ftrühe Bischosstad, München 1963; BHG 1648-1165; BHL 7848-7895.

S. Houdard, The Finding of Saint Stephen’s Body at Caphar Gamal in 415 AD, Prinkash Abbey 1978.

P. Maraval, Songes et visions comme mode d'invention des reliques: Augustinianum 39 (1989) 583-599. L’edizione critica del testo in è: S. Vanderlinden, Revelatio Sancti Stephani: Revue des Etudes Byzantines 4 ( 1946 ):178-21

Budbury nota la coincidenza della destituzione di Gamaliele IV dal titolo onorario di prefetto al pretorio, come pure di giudicare i cristiani (CTh 16,8,22): S. Bradbury, Severus of Minorca: Letter on the conversion of the Jews, Oxford 1996.

Delahaye (comm. in Martyrol. Hieronim., AASS Nov. II,2, p. 10) dice che la festa di s. Stefano al 26 dicembre era anteriore al 415; la festa del 2 agosto (Occidente del 3 agosto) commemora la traslazione a Costantinopoli (o.c. 415s). Il Sinassario della chiesta di Costantinopoli, e qualche altro, commemora la inventio al 16 settembre.

P. Maraval, Lieux saints et pèlerinages d’Orient, Paris 1985, pp. 266s.

Molte altre località orientali avevano una chiesa dedicata a santo Stefano; non sappiamo se avessero reliquie. Forse a Edessa (Mraval, o.c., p. 352); a Safranbolu (Maraval, o.c., p. 368); vicino Myra nella Licia (Maraval, p. 387). Una basilica a Umm al-Rasas (identificata con Kastron Mefaa): cfr. M. Piccirillo - E. Alliata (Edd.), Umm al-Rasas - Mayfa’ah I. Gli scavi del complesso di Santo Stefano, Jerusalem 1994.

Ed. critica: Encomium in sanctum Stephanum protomartyrem, griech., Text, eingel. & hrsg. von Lendle O. Leiden 1968.

S. J. Voicu, Due omelie «nestoriane» : «In assumptionem domini» (CPG 4739) e «In sanctum Stephanum homilia» (CPG 4690); Augustinianum 44 (2004) 459-460. Le attribuisce ad uno scrittore antiocheno della prima metà del quinto secolo.

A. Strus, Beit-Gemal può essere il luogo di sepoltura di S. Stefano?: Salesianum 54 (1992) 453-478; cfr. Charbel, A. Fonti e sussidi per lo studio dell’identificazione di Caphargamala con Beit-Jimal: Salesianum 40 (1978) 911-944; P. H. F. Jakobs, Reste einer byzantinischen Siedlung bei Beit-Jimal: Akten des XII. Internationalen Kongresses für Christliche Archäologie, Città del Vaticano - Münster 1995, 873-880; É. Puech, Un mausolée de saint Étienne à Khirbet Jiljil - Beit Gima:  Revue biblique 113 (2006) 100-126.

A. Strus, o.c. pp. 467s.

J. Villela, Biografía crítica de Orosio : JbAC 43 (2000) 94-121

Elizabeth A. Clark, Claims on the Bones of Saint Stephen: The Partisans of Melania and Eudocia: Church History  51 (1982)) 141-156

Ep. 175,1.

V. Gauge, Les routes d’Orose et la diffusion du culte d’Étienne en Occident: Antiquité Tardive 6 (1998) 265-286.

Cfr. V. Gauge, o.c., pp. 274s.

Nel testo viene detto solo che vi operavano molti miracoli, ma non che vi fossero reliquie.

Idem AAA. Cynegio praefecto praetorio. Humatum corpus nemo ad alterum locum transferat; nemo martyrem distrahat, nemo mercetur. Habeant vero in potestate, si quolibet in loco sanctorum est aliquis conditus, pro eius veneratione quod martyrium vocandum sit addant quod voluerint fabricarum. Dat. IIII kal. Mart. Constantinopoli Honorio n. p. et Evodio conss. (386 febr. 26).

Cfr. V. Saxer, V. Saxer, Morts Martyrs Reliques en Afrique chrétienne aux premiers siècle, Paris 1980, pp. 126-133.

Cfr. Saxer, Morts, pp. 138-149.

  cfr. Sermones 252,4; 259,8; 295,8; 326,1; 328, 8; 311,5; Denis 13,4; Guelfer. 28; Lambot 6; En. in Ps. 69.

Orosio consegna una lettera di Girolamo (tra le lettere di Agostino la Ep. 172) (cfr. Gauge p. 277; Dolbeau pp. 49-50 (articolo** in bib.).

Le reliquie furono deposte prima nella memoria, situata fuori di Uzalis, dei martiri Felice e Gennadio; poi furono trasferite con grande solennità e partecipazione popolare nella chiesa urbana (De miraculis I,2).

A. Caserta, Evodio di Tagaste amico e discepolo di S. Agostino: Asprenas 3 (1956/1957) 123-152

L’anziano presbitero Zumurus riceve (De miraculis I,7) un sogno contro il trasferimento di una parte delle reliquie in un’altra chiesa; avendo trascurato l’avvertimento, viene fortemente rimproverato dal martire; anche il presbitero Donatus riceve una rivelazione in tal senso. L’intervento della folla impedisce di realizzarlo. L’episodio viene interpretato dall’autore del De miraculis come segno che non si debba ammettere nessun divisionis locus dopo la ricomposizione dell’unità ecclesiale con i donatisti. La chiesa delle reliquie per questo venne chiamata anche Restituta.

P. Laurence, SainteMélanie et les reliques des martyres: Liber Annuus 51 (2001) 191-212.

Il santuario di Ancona è il più antico di Occidente, perché, secondo la leggenda riferita da Agostino, vi era stata portata una pietra che aveva colpito il protomartire Stefano; ma i miracoli cominciarono solo dopo la inventio del suo corpo (Sermo 223,2).

Una iscrizione recita: Hic reliquiae snacti Stephani (Y. Duval, o.c., p. 629).

Cfr. Y. Duval, o.c., p. 629.

Y. Duval, o.c., p. 631.

Y. Duval, o.c., p. 629.

Agostino nomina altre cappelle delle campgane: De civ. Dei 22,8, 18 e 20

Per l’elenco in Occidente di iscrizioni di Stfano cfr. G. Sanders, Augustin et le message épigraphique: le tétrastique en l'honneur de saint Etienne: Augustiniana 40 (1990) 95-124, p. 199, nota 127.

A,Fraïsse, Sens et preuves des miracles dans le De Miraculis Sancti Stephani, premier recueil occidental de miracles: Lallies 24 (2003) 191-203; J. Meyers, Les miracles de saint Etienne. Recherches sur le recueil pseudo-augustinien (BHL 7860-7861), avec édition critique, traduction et commentaiere, Turhout 2006 (non vidi).

 

C. P. Mayer, "Attende Stephanum conservum tuum" (Serm. 317,2,3). Sinn und Wert der Märtyrerverehrung nach den Stephanuspredigten Augustins, in Fructus Centesimus. Mélanges offerts à G.J.M. Bartelink, publiés par A.A.R. Bastiaensen u.a.), Steenbrugge 1989, 217-237; A.A.R. Bastaiensen, Augustin on the Deacon-Preacher Martyr Stephan, in: Mélanges offerts à J.J. van Bavel: Augustiniana 54(2004)103-127.

Agostino dice che Uzalis è vicina alla colonia di Utica, allora sul mare. Un paralitico di Utica, guarito, si reca a Uzalis per ringraziare il martire percorrendo dodici mila passi. Uzalis viene collocata a circa 60 Km a nord di Cartagine, a 13 Km a nord ovest di Utica e a 19 Km a sud est di Hippo Diarrythus (oggi Bizerte), nell’attuale centro urbano di El Alia. Cfr. C. Lepelley, Les cités de l’Afrique romaine au Bas-Empire, Paris 1981, vol. II, p. 246.

Nato a Tagaste, più giovane di Agostino, è agens in rebus nell’amministrazione imperiale; si converte e viene battezzato; si unisce al gruppo di Agostino a Milano; è con Agostino ad Ostia e a Roma nel 387; interlocutore di dialoghi di Agostino. Anch’egli è un vescovo monaco a Uzalis.

Quando Agostino scrive il libro 22° del De Civitate Dei a Calama il culto di Stefano già funzionava da alcuni anni; scrive: “A Calama poi, in cui si è avuta la prima cappella e avvengono più spesso, superano di molto il numero” (De civ. Dei 22,8,21).

 

O. Perler, (Les voygaes de saint Augustin, Paris 1969, p. 380) colloca questo viaggio al 424.

  Pauciora decerpsimus, ne in praesenti auditoribus propter festivitatem Martyris de longinquo advenientibus forsitan oneri esse possemus (De miraculis I,15); De publico recitarentur (De miraculis II,1).

Y. Duval, Loca sanctorum Africae, Roma 1982, II, p. 628.

Sono: 79 (libelli miraculorum); 94 (libelli miraculorum); Wilmart 12,5 [NBA 61] (libelli miraculorum); 314; 315; 316; 317; 318; 319; 319A (PL 39,2142; Rev. Bén. 84 [1974] 265-266); 320; 321; 322; Ep. 212. Nei sermoni 79 e 94 Agostino per indicare Stefano dice solo “il santo martire”. Ormai tutti capivano.

V. Saxer, Morts Martyrs Reliques en Afrique chrétienne aux premiers siècle, Paris 1980, p. 255.

La memoria era vicina alla basilica (De civ. Dei 22,8,23 ), ma non è stata localizzata con sicurezza. O. Perler, L’église principale et les autres sanctuaires chrétiens d’Hippone-la-Royale d’après les textes de saint Augustin: REAug 1 (1995) p. 322.

Serm 319,8: Legite quatuor versus quos in cella scripsimus, legite, tenete, in corde habete. Propterea enim eos ibi scribere voluimus, ut qui vult legat, quando vult legat. Ut omnes teneant, ideo pauci sunt: ut omnes legant, ideo publice scripti sunt (PL 38,1577). Cfr. G. Sanders, Augustin et le message épigraphique: le tétrastique en l'honneur de saint Etienne: Augustiniana 40 (1990) 95-124, spec. da pag. 114ss. La Y. Duval, o.c. p.671-672, presenta una cartina con le segnalazioni delle località del culto di Stefano.

C. Lambot, Collection antique de sermons de saint Augustin: RevBén. 57 (1947) 104-107.

Ne parla ancora: Ep. 78,3 ai fedeli di Ippona (verso il 402); De cura pro mortuis 17,21; 318,1 (inizio 425); 286,5 (anche 425, dopo il sermone 318); De civ. Dei 22,8,2. C’era una cappella anche nella diocesi di Ippona dedicata ai due martiri milanesi, dove la gente andava a pregare (De civ. Dei 22,8,8), in Victoriana villa. Per il loro culto in Africa, cfr. Y. Duval, o.c., p. 655..

P. Courcelle, Recherches sur les ‘Confessions’ de saint Augustin, II ed., Paris 1968, pp. 139-153.

A. Wilmart, Le morceau final du sermon 317 de Saint Augustin pour la fête de saint Etienne: RevBen 44(1932)201-206.

Un tale Esperio a Fussala aveva della terra presa dal luogo della risurrezione di Cristo a Gerusalemme (De civ. Dei 22,8,7); anche la lettera 52,2 accenna all’importanza della terra portata dall’Oriente: “se si porta ai Donatisti un po' di terra da quelle regioni la venerano”.

Nell’anno 426, cfr. C. Leyser, Homo pauper, de pauperibus natum: Augustine, Church Property and the Retrospective Self: Augustinian Studies 36 (2005) 229-237, p. 230.

Memoria presso Agostino ha diversi significati: monumento eretto su una tomba di un martire, la tomba, reliquie, reliquiario, le reliquie (BA 37,558 nota). Non descrive con precisione le reliquie, che vengono solo menzionate: memoria e reliquie sono termini che possono avere lo stesso significato (De civ.Dei 22,8,10 e 11: una volta è usato il termine reliquiae per indicare una memoria (cfr. Y. Duval p. 545 e nota 17).

Qui profecto ob hoc ad modicum vitam recepit, ne in aeternum moreretur; ob hoc ad tempus mori meruit, ut vita perpetua frueretur (De miraculis I,15: PL 41,842; Agostino, Serm. 323, 3 e 324).

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